
Fonte: https://iris.uniroma1.it/
Tor Bella Monaca e oltre: quando la rigenerazione diventa motore di trasformazione sociale
C’è un filo rosso che unisce i cantieri d’Europa: la consapevolezza che rigenerare la città non significa solo ristrutturare muri, ma ridisegnare il patto sociale tra spazio urbano e comunità. L’architettura, in questo scenario, smette di essere pura forma e torna ad essere infrastruttura di equità: un dispositivo che permette a quartieri periferici, troppo a lungo dimenticati, di diventare laboratori di futuro. In Italia questo percorso assume un volto concreto a Roma, a Milano, a Napoli: quartieri simbolo di marginalità si trasformano in cantieri sperimentali dove edilizia sostenibile, nuove tecnologie e pratiche partecipative si intrecciano. Il progetto non è più un esercizio estetico, ma un atto politico e culturale che investe sulla dignità dell’abitare e sulla resilienza delle città.
È su questo terreno che si muove l’analisi di Eliana Cangelli, Professoressa ordinaria di Architettura presso la Sapienza Università di Roma, Presidente del Comitato per la Qualità Urbana di Roma Capitale e Vicepresidente del Consiglio europeo di Eurosolar. Il suo studio mostra come la rigenerazione urbana possa tradurre in pratica i grandi principi dell’Agenda 2030, mettendo in dialogo esperienze italiane ed europee.
Un’analisi che interessa chi costruisce e progetta, ma anche chi investe, perché svela come il valore immobiliare di domani dipenderà sempre più dalla capacità dei progetti di rispondere a disuguaglianze sociali e sfide ambientali.
La fotografia italiana: disuguaglianze e rigenerazione
Guardare all’Italia di oggi significa confrontarsi con un Paese che porta dentro di sé fratture profonde. Secondo i dati ISTAT 2025, quasi un quarto della popolazione – il 23,1% – vive in condizioni di rischio povertà o esclusione sociale. Un dato che, rispetto al 2024, segna un peggioramento, e che racconta un Paese ancora diviso in due: da una parte il Nord, dove la povertà assoluta resta sotto il 5%; dall’altra il Mezzogiorno, dove supera il 10% e si traduce in periferie fragili, servizi carenti e comunità che faticano a immaginare il proprio futuro.
La questione non è soltanto economica. È anche di genere: in Italia lavora poco più di una donna su due (55%), uno dei valori più bassi d’Europa. E chi lavora spesso guadagna meno – il gender pay gap rimane fermo al 12% – e incontra barriere nell’accesso a posizioni apicali. È un quadro che frena non solo l’equità, ma anche il potenziale di crescita del Paese.
A questo si aggiunge la sfida educativa. La dispersione scolastica tocca il 12,7% a livello nazionale, con punte che superano il 16% nelle regioni meridionali. Meno istruzione significa meno mobilità sociale, meno possibilità di accesso al lavoro qualificato, meno opportunità per costruire comunità resilienti.
In questo scenario, la rigenerazione urbana non può essere interpretata come una semplice operazione edilizia. È piuttosto uno strumento di coesione sociale e di riequilibrio territoriale, capace di rispondere a queste fragilità strutturali. Ogni progetto che interviene sulle periferie – dal recupero dell’edilizia popolare alla creazione di nuovi spazi pubblici – diventa allora un investimento non solo in infrastrutture, ma in equità, dignità e futuro.
Il paradigma Tor Bella Monaca
In questo scenario, il progetto di rigenerazione del comparto R5 di Tor Bella Monaca a Roma diventa un caso emblematico. Con un investimento che supera i 125 milioni di euro, provenienti da fondi PNRR e PInQUA, rappresenta oggi il più grande cantiere di rigenerazione urbana in Europa. Ma la sua importanza non risiede soltanto nelle dimensioni economiche o urbanistiche: Tor Bella Monaca racconta come un quartiere simbolo della marginalità possa trasformarsi in laboratorio di innovazione sociale e architettonica.
Gli interventi non si limitano a riqualificare i 1.236 alloggi esistenti per oltre 4.000 abitanti, ma introducono una nuova visione urbana. Gli edifici vengono ripensati per raggiungere standard energetici elevati, con isolamento termico, infissi performanti e impianti fotovoltaici, segnando un deciso passo avanti verso la sostenibilità. Allo stesso tempo, l’originaria monofunzionalità del quartiere viene superata grazie alla creazione di spazi misti, capaci di ospitare abitazioni, co-working, laboratori artigianali e start-up sociali, aprendo il quartiere a nuove economie e a un tessuto produttivo diffuso.
Un elemento chiave del progetto è la nascita di una comunità energetica rinnovabile, pensata per ridurre i costi delle bollette e redistribuire i benefici, rafforzando così il senso di appartenenza. A questo si affianca la trasformazione degli spazi pubblici, concepiti come luoghi polifunzionali: piazze attrezzate, orti urbani, percorsi pedonali e ciclabili diventano scenari di socialità e inclusione.
Non meno rilevante è la dimensione culturale ed educativa. Con la realizzazione del Museo delle Periferie e del Collaboratorio, il quartiere si candida a diventare un polo di attrazione per tutta Roma, capace di offrire formazione, attività artistiche e nuove narrazioni identitarie. Parallelamente, iniziative come la ristrutturazione della Ludoteca di Alice, spazio autogestito dalle madri del quartiere, mostrano come la rigenerazione possa contribuire anche al rafforzamento dell’autonomia femminile e alla promozione della parità di genere.
In definitiva, Tor Bella Monaca non è soltanto un intervento edilizio, ma una trasformazione integrata che intreccia sostenibilità, innovazione sociale e partecipazione. È il simbolo di come la rigenerazione urbana, se supportata da visione politica e strumenti adeguati, possa restituire dignità a un quartiere e al tempo stesso diventare un modello replicabile per l’intera Europa.
Altri casi italiani
Oltre Roma, Milano e Napoli si distinguono con approcci diversi ma complementari:
- San Siro e Quarto Oggiaro a Milano puntano su housing collaborativo, orti urbani e servizi educativi.
- ReStart Scampia a Napoli trasforma le Vele demolite in un ecosistema urbano con scuole, centri di formazione e aree verdi.
Tutti interventi che mostrano come il PNRR abbia reso possibili politiche sistemiche, capaci di incidere su più dimensioni contemporaneamente: abitativa, sociale, educativa e ambientale.
La prospettiva europea
Se in Italia i fondi pubblici hanno consentito interventi urbani su larga scala, nel resto d’Europa il panorama è segnato da progetti micro-urbani, localizzati ma di grande impatto.
- Bordeaux, Grand Parc: riqualificazione di tre edifici anni ’60 con serre bioclimatiche e logge abitabili.
- Barcellona, La Borda: cooperativa abitativa basata su proprietà collettiva e governance comunitaria.
- Berlino, R50 Cohousing: modello abitativo collaborativo con spazi condivisi.
- Sala Beckett a Barcellona: ex fabbrica trasformata in centro culturale, segno del potere rigenerativo della cultura.
Questi esempi, pur limitati alla scala dell’edificio o del quartiere, mostrano come l’architettura possa essere vettore di inclusione sociale e innovazione sostenibile.
Un futuro da costruire tra Roma e l’Europa
L’Italia, con il cantiere di Tor Bella Monaca e altri programmi finanziati dal PNRR, sta scrivendo una pagina decisiva nella storia della rigenerazione urbana europea. La vera sfida sarà garantire continuità e governance oltre la stagione dei fondi straordinari.
L’Europa, dal canto suo, offre modelli replicabili che dimostrano la forza di interventi locali e partecipativi. L’integrazione tra la scala macro-sistemica italiana e la scala micro-urbana europea potrebbe costituire la chiave di una nuova stagione urbana fatta di città inclusive, resilienti e sostenibili.
Come sottolinea la ricerca di Eliana Cangelli, Professoressa ordinaria di Architettura alla Sapienza Università di Roma, il futuro delle città non dipenderà solo dalle risorse economiche disponibili, ma dalla capacità dei progetti di diventare architetture di diritti, capaci di trasformare le fragilità in opportunità di sviluppo.


